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Il segno nella fotografia digitale


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avatarjunior
inviato il 08 Maggio 2024 ore 18:04

SECONDITÁ

Anzitutto, per nostra convenienza discorsiva, mettiamo un attimo da parte il termine "reale" [realtá] e preferiamogli quello, più circoscritto, di "realismo" [realisticamente] . Il realismo di Peirce individua essenzialmente tre elementi dei quali possiamo prendere piena coscienza e sono chiamati - senza troppa fantasia - primità, secondità e terzità. Il più facile da cui iniziare è l'elemento della secondità perché si riferisce all'alterità, al cambiamento, agli eventi, alla resistenza ed ai fatti. I "secondi" sono brutali, sono uno "shock" che ci costringe a pensare altrimenti, a modificare il nostro abituale immaginario.

avatarjunior
inviato il 08 Maggio 2024 ore 18:52

PRIMITÀ

I “primi”, invece, sempre secondo Peirce, sono dei “meri forse, non necessariamente realizzati” che implicano il particolare genere di realismo della spontaneità, della qualità o del possibile nel “suo essere tale” al di là della sua relazione con qualcos'altro. Si capisce, qui, chiaramente perché la secondità sia più semplice da comprendere: una pigna che cade dall'albero - è una secondità - ci "sorprende" con maggior concretezza d'un odore effimero, subitaneamente scomparso - è una primità - che ci catapulta, ad esempio, in un déjà vu estemporaneo. Si avvicina alla primità quel tipo di "esperienza" fuggevole, in se stessa e per se stessa; senza bisogno poi di chiedersi da dove venga, a cosa somigli o a cosa sia legata.

avatarjunior
inviato il 08 Maggio 2024 ore 18:54

TERZITÀ

La terzità, infine, è l'aspetto piú importante del realismo di Peirce. I terzi, secondo questo schema di cose, sono "i generali" [in riferimento alla filosofia scolastica del medioevo] e sono altrettanto realistici dei primi e dei secondi. A cosa si riferisce l'autore? Agli "abiti" alle "regolarità" ai "modelli" alle "relazionalità" nonché - molto importante - alle "possibilità future" ed alle "intenzioni". Tutte queste terzità hanno un'efficacia (eventuale) e possono originarsi e manifestarsi nel mondo. La stessa tendenza generale all'aumento dell'entropia nell'universo è un "abito" e, ancora, la stessa tendenza della non-forma ad auto-organizzarsi per assumere spontaneamente una forma è un "abito", dunque una terzitá.

avatarjunior
inviato il 08 Maggio 2024 ore 20:00

VITA

Primi, secondi e terzi a chi servono? A noi umani? Agli esseri viventi ? Al mondo? No, no e ancora no: servono alla "vita". È la vita che crea una gamma sempre maggiore di nuove regolarità amplificando la tendenza generale ad assumere "abiti". Questa tendenza è ciò che rende il mondo prevedibile ed è ciò che rende la vita, in quanto processo semiotico, inferenziale. Tutta la selezione evolutiva si basa, alla fondamenta, su una "congettura" che era possibile e che, solo dopo, attraverso il lignaggio, ha rivelato il suo potenziale. Quindi, tornando a noi: il mondo può essere descritto "realisticamente" solo perché - tramite la vita - ha assunto una parvenza di regolarità ed i nostri segni (icone, indicali e simboli) a loro volta sono "abiti" che riguardano degli abiti.

avatarjunior
inviato il 08 Maggio 2024 ore 20:25

SENZA DEUS EX MACHINA

Tutti i processi che implichino una quache forma di mediazione sono terzi e, per conseguenza, tutti i processi semiotici presentano terzità.Tuttavia è importante sottolineare che, sebbene tutti i segni siano terzi, non tutti i terzi sono segni. Sarebbe troppo facile. Ad esempio: la tendenza generale verso l'abito non è una caratteristica imposta "sul mondo" da una mente semiotica, come un deus ex machina. È là fuori. La terzità nel mondo è si la condizione della semiosi, ma non è qualcosa che la semiosi “apporta” al mondo. Tutto presenta, ad un livello o ad un'altro, primità, secondità e terzità ed i diversi tipi di processi semiotici amplificano determinati aspetti dell'una a discapito dell'altra. Sebbene tutti i segni siano intrinsecamente terzi, per il fatto che rappresentano sempre qualcosa per qualcuno, i diversi tipi di segni sono piú inclini alla primità, alla secondità o alla terzità.

avatarjunior
inviato il 08 Maggio 2024 ore 21:09

RELATIVITÀ

Le icone, in quanto terzità, sono anche dei "primi relativi" poiché mediano grazie al fatto di possedere le stesse qualità dei loro oggetti e lo fanno indipendentemente dalla loro relazione con qualsiasi altra cosa. Detto in altri termini sono solo delle qualità nel loro “essere tali". Siamo nel regno dell'effimero e del fantasmagorico per definizione.

Gli indici, in quanto terzità, sono anche dei "secondi relativi" poiché mediano per il fatto di subire l'effettualità dei loro oggetti. Il trasalimento è un effetto concreto che "ci sposta" dal nostro immaginario precedente per condurci al fatto "in essere", ci riposiziona.

I simboli, invece, in quanto terzità, sono... "doppiamente triadici" poiché mediano - tramite la referenza simbolica - un "generale", ad esempio un abito emergente. Significano per la relazione che intrattengono con un sistema convenzionale – che è già un sistema di abiti – che ne consentirà l'interpretazione generando - a sua volta - subito altri abiti. Un livello di astrazione senza precedenti? Si, e con questo vi rimando alla voce MAGIA, giusto una pagina indietro.

avatarjunior
inviato il 09 Maggio 2024 ore 7:57

SCIENZA

Risolto l'arcano del progressivo sganciamento dal "qui e ora" il mondo non è più così magico come sembrava ma rimane un luogo a suo modo "incantato" e per noi è tempo di occuparci della scienza: perché è possibile fare scienza? La condizione di possibilità della scienza [intendo: scienza dell'umano] dipende dal fatto che il pensiero umano stesso è partecipe-e-partecipato di-e-da ogni carattere [caratteristica] diffuso/a nell'intero universo. In altri termini: i "modi" naturali presenti all'interno della nostra mente hanno una certa tendenza a coincidere con i "modi" in cui agisce l'universo. I nostri pensieri sono come il mondo perché al mondo apparteniamo. Il pensiero stesso, e qui lo intendo di ogni genere, è un "abito" estremamente complicato emerso dalla tendenza presente nel mondo ad assumere abiti, ed in continuità con tale tendenza generale.

avatarjunior
inviato il 09 Maggio 2024 ore 10:13

@Garrincha

Carissimo,
non siamo - filologicamente parlando - in presenza di un alfa privativo. Seità ed aseità sono perfettamente intercambiabili. Sicuramente “aseità” risulta più datato, tutto qui. Vuoi un altro esempio? Pensa alla parola “giuoco” che oggi più comunemente scriviamo “gioco”, entrambe corrette, ma “giuoco” risulta desueto.

Tutto cambia, invece, quando l'alfa è privativo, come nella parola anarchia.
"L'anarchia" non può diventare "la narchia" perché perdiamo ogni senso, mentre tra "l'aseità" e "la seità" la grafia diversa non comporta alcun cambiamento di significato del concetto.

Ancora: mi si potrebbe controbattere che allora tra "aseità" e "seità" la differenza è solo una questione di stile. Rispondo anche a questo: si e no. Era Silvio Berlusconi che amava usare, oralmente, l'espressione "il giuoco del calcio" per stile e per richiamare, forse, un'antica "nobilità" del suo modo d'intendere questo sport.

Nel mio caso preferisco "seità" ad "aseità" perché, nell'uso pratico, dovendo accordare questa parola al suo articolo - visivamente - mi piace di più che il concetto sottinteso [essere-un-sé] sia espresso da una parola sempre a-se-stante e che quindi s'accordi senza l'apostrofo: la seità - versus - l'aseità.

Sulla condotta “nazionale” non saprei che dirti. Mi lusinga il fatto che tu ti sia preso la briga di iscriverti a questo forum con questo nickname unicamente per commentare questa specifica discussione. Metterò la malizia da parte, per ora.


avatarjunior
inviato il 09 Maggio 2024 ore 15:50

AUTOBUS

Per avanzare dobbiamo un attimo “sospenderci” come nel vuoto e, per amor di chiarezza, userò l'espediente di una storiella nella quale vi chiedo d'immedesimarvi:

“Siete seduti in un autobus che percorre una strada di montagna. L'autobus è pieno di turisti felici e contenti. Ad un certo punto una frana fa precipitare delle rocce sulla strada e blocca l'autobus, che non può più avanzare né retrocedere. In voi sentite salire una certa inquietudine e, con lo sguardo, cominciate a cercare una sensazione simile anche negli altri passeggeri ma niente… apparentemente tutte le altre persone non dimostrano alcuna preoccupazione ed, anzi, tra canti e chiacchiere c'è perfino una guida turistica che propone di uscire all'aperto per fare una merenda. La vostra inquietudine cresce: come mai gli altri non condividono quel senso di pericolo imminente che invece, in voi, si palesa così chiaramente?”

avatarjunior
inviato il 09 Maggio 2024 ore 16:56

IO-NOI

Lisa Capps e Elinor Ochs hanno studiato, come pochi altri, i modi in cui il panico possa essere costruito a laboratorio e poi decostruito. A noi qui, però, interessa solo quella piccola parte delle loro conclusioni nella quale si evince che: “la parte piú inquietante del panico è la sensazione di non sentirsi sincronizzati con gli altri”. È questo che ci fa andare, come si suol dire, “fuori di testa” e non altro. Ma perché? Peirce, con la sua analitica, ci propone questa spiegazione: “un aspetto della generalità del pensiero – la sua terzità – è di non essere situata esclusivamente in un singolo e stabile sé. Piuttosto, è costitutiva di un sé emergente distribuito tra molteplici soggetti e corpi”. E se l'allucinazione è collettiva allora cosa possiamo affermare? Questo: 1) che “noi” ha indefinite possibilità 2) che “noi” è anch'esso un generale (terzità) tanto quanto il pensiero 3) che il panico è come una palla da bowling che va a “scombinare” non importa quanti birilli: un-io, due-noi, oppure semplicemente tutti. Strike!

avatarjunior
inviato il 09 Maggio 2024 ore 17:27

COLLASSI

Il panico, dunque, produce una sorta di “collasso” - a livello semiotico - della relazione triadica che collega la mia mente creatrice di abiti con le altre menti creatrici di abiti in rapporto alla nostra capacità di condividere l'esperienza [degli abiti] del mondo. Fino a dove questa situazione può aggravarsi? Beh, il ripiegamento solipsistico su se stessa di una mente sempre piú privata può produrre la stessa implosione del sé. Nella crisi di panico il sé diventa un “primo relativo” reciso dal resto del mondo e cioè solo un “possibile membro della società” che può solo dubitare dell'esistenza delle proprie connessioni piú corporee [realistiche] con il mondo. Si ripensi alla storiella dell'AUTOBUS, perché li ci sono tutte le condizioni affinché una crisi di panico si scateni.

avatarjunior
inviato il 09 Maggio 2024 ore 18:04

COGITO E CRISI

Autobus, frana, siamo bloccati, ho paura e… gli altri niente, ridono e scherzano. Che fare? Ma soprattutto: a chi credere? Dalla mia parte ho uno scettico cogito cartesiano: penso (solo simbolicamente) dunque (non so veramente se) sono. Dall'altra parte potrei scegliere [?] di unirmi al “noi” per stare in allegria anche io ma - il problema - è che la mia mente non riesce ad allinearsi all'altra “indefinita possibilità” che quel “noi” mi offre. Non posso “prendermi in giro” fino al punto di credere - per davvero - che non esista alcun pericolo imminente e quindi lo stato di alienazione continuerà a montare, collasso dopo collasso, fino alla crisi di panico vera e propria. L'allineamento triadico che produce un “noi” emergente è ottenuto indicalmente e iconicamente, ergo non può accadere per nostra scelta.

avatarjunior
inviato il 09 Maggio 2024 ore 19:06

UNA PICCOLA MORTE

A pagina 2, alla voce MORTE, introducevo il concetto di “piccola morte” per come inteso da Stanley Cavell che dice: “ci sono numerosi modi in cui cessiamo di essere dei sé per noi stessi e, in relazione, gli uni per gli altri”. Benissimo, anche la crisi di panico è - a tutti gli effetti - una piccola morte. Ad un certo momento c'è un blackout e la luce si spegne, ci sconnettiamo. Tuttavia, siccome parlando di morte parliamo sempre di “morte nella vita” (si veda Cora Diamond, nella stessa nota indicata) ecco che una volta resettato l'iper-simbolismo che aveva scatenato la crisi di panico - di nuovo - per mezzo di icone e indicali ci possiamo reallineare con il mondo. Anzi: non è che siamo noi a farlo, ma semplicemente è ciò che ci accade “ogni maledetto giorno”, come concludeva qualcuno. Io dico: andate a rileggere ora la voce VITA, sopra in questa pagina, e poi saremo pronti per continuare.

avatarjunior
inviato il 09 Maggio 2024 ore 20:49

A CHI SI È PERSO

Ricordo che stiamo sulla strada che ci porta a definire la cornice naturale [il telaio] su cui far girare il “motore” [non-dualistico] della semiotica. Ho speso tante parole sul panico perché è quella situazione - universalmente nota - di “crisi” non necessariamente patologica che però contiene, in sè, tutte quelle criticità che potevano innescare qualche allarme di natura ontologica e senso. Fino a qui abbiamo trattato tutte le “cose” che - in semiotica - vengono considerate come “animate” e questo insieme, evidentemente, si è rivelato essere estremamente più ampio del modo di vedere dualistico, che ingloba icone e indicali nel simbolico umano. Ora è tempo di vedere come, la semiotica, si relazioni anche alla “materia inanimata” - esiste? - e di come, il nostro telaio, per adattarsi nel modo più naturale possibile, possa essere considerato “responsivo”.

avatarjunior
inviato il 09 Maggio 2024 ore 23:02

INANIMATO

La vita, abbiamo detto, fa proliferare "generali" - terzità - come gli abiti. Essere vivi – essere nel flusso della vita – quindi implica allineare se stessi con una gamma sempre maggiore di abiti emergenti. Ma essere vivi è qualcosa di diverso da un abito in sé per sé, piuttosto è la "capacità" di assumere abiti sempre diversi e di lasciarli anche da parte. Questa "capacità" di cambiare l'abito, questa notevolissima elasticità intrinseca è anch'essa - a sua volta - una terzità che noi possiamo identificare con la parola "crescita", infatti solo ciò che "vive" cresce. Contrariamente: la materia inanimata, che cosa sarebbe? Peirce l'ha caratterizzata come una seità i cui abiti sono diventati "fissi" cosí da perdere il potere di formarli e di perderli. È un modo furbo ma elegante, matematico e pragmatico, di risolvere la questione: anche la materia inanimata sarebbe un sé - e non altro, dualisticamente - ma è un sè in qualche modo bloccato, intrappolato, dalla non-crescita, il cui abito-terzità di cambiare abito si è irrigidito con tendenza all'infinito.

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