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Aotearoa - Nuova Zelanda 2010


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Aotearoa - Nuova Zelanda 2010, testo e foto by Cemb. Pubblicato il 07 Settembre 2011; 0 risposte, 3936 visite.





Nuova Zelanda, ovvero: perché bisogna per forza trascorrere la propria luna di miele in un atollo tropicale?
Anna ed io abbiamo deciso di sposarci, dopo un periodo di convivenza, il 4 settembre di quest'anno. Entrambi amanti dei viaggi, non potevamo rinunciare a farci regalare una "vacanza da sogno". E così, dopo ricerche, riflessioni e letture, abbiamo scelto la nostra meta: la Nuova Zelanda. Aotearoa, "Isola della Lunga Nuvola Bianca" in lingua maori, è una terra di indubbio fascino. Per noi italiani, se non altro, perché si trova esattamente dall'altra parte del mondo; perché, rispetto agli altri Paesi occidentali, è quello che ci è forse meno noto; perché siamo tutti rimasti incantati dagli All Blacks e dalle loro danze di guerra. Ma la Nuova Zelanda è molto di più: è la grande terra emersa di più recente colonizzazione, con un ecosistema del tutto peculiare, sviluppatosi in millenni di isolamento, ed una società che nell'integrazione di diverse culture e negli inevitabili contrasti ha dovuto per forza essere moderna ed all'avanguardia. Quando si parte, si immaginano i paesaggi del Signore degli Anelli di Peter Jackson, ma poi non si può fare a meno di rimanere colpiti da uno stile di vita e da una visione del mondo estremamente differenti dalla nostra quotidianità.

Andiamo con ordine. Tutto è cominciato lo scorso inverno. Tra i preparativi matrimoniali, inizia ad affacciarsi l'idea di spendere la "licenza matrimoniale" (in realtà né io né mia moglie abbiamo diritto ad un vero e proprio congedo) in Nuova Zelanda. L'organizzazione non è così facile, per tanti motivi: quelli personali, legati ad un cambio di lavoro e di prospettive per entrambi, e quelli più turistici. La meta non è particolarmente gettonata dagli italiani e per una volta vorremmo affidarci ad un'agenzia. Fortunatamente nella nostra città c'è chi ci può dare una mano, ma alla fine non rinunceremo (soprattutto Anna) a dare un contributo personale alla scelta dell'itinerario. Il viaggio è inevitabilmente lungo; scegliamo di partire da Malpensa e di raggiungere Auckland con due scali, Londra ed Hong Kong. Ci metteremo 30 ore ad arrivare sul suolo Kiwi, provati dal jet lag e dal viaggio in economy; non è però il caso di scoraggiarsi, all'arrivo ci aspetta un fuoristrada gigantesco (da guidare sul lato "sbagliato" della strada, come in tutti i Paesi di tradizione anglosassone) e non abbiamo nessuna intenzione di perdere tempo.
I primi due giorni sono dedicati alla visita di Auckland, la città più popolosa e moderna della North Island, che spiazza per la sua estensione (costituita prevalentemente da casette ad uno o due piani con giardino, ad esclusione del piccolo centro con grattacieli, ha un diametro di 40 chilometri contando 1.300.000 abitanti, con una densità abitativa di circa 1/7 rispetto a Milano), ed alla punta più settentrionale dell'isola del Nord. Purtroppo il tempo è molto piovoso e non riusciamo ad apprezzare appieno le attrazioni più note, ovvero la Bay of Island e la Ninety Miles Beach. Imperdibile Waitangi, con il relativo museo, dove fu siglato l'omonimo trattato che ancora oggi costituisce l'atto costitutivo della nazione. Iniziamo a comprendere l'architettura maori, le tradizioni di questo popolo ed i primi contatti con gli occidentali, che con una buona dose di opportunismo seppero guadagnare il dominio su gran parte delle terre.
Complice un navigatore satellitare pazzerello, ci "godiamo" qualche deviazione fuoristradistica imprevista, che riusciamo a superare indenni. Ben presto impariamo che le highway sono molto simili alle nostre statali (ma, ovviamente, molto meno trafficate), spesso caratterizzate da bruschi cambi di pendenza e da tornanti; ovunque vige il limite di 100 Km/h e sui brevi tratti a pedaggio non esistono caselli, ma solo casse automatiche ubicate nelle stazioni di servizio dove si paga inserendo il numero di targa del veicolo (sull'autostrada sono attive telecamere per l'identificazione dei mezzi).







I paesaggi che visitiamo nei giorni successivi ci riempiono di entusiasmo: scopriamo la natura vulcanica del territorio ed esploriamo la zona di Rotorua, rinomata per le sue acque termali e l'intensa attività geotermica, e la riserva di Te Puha, con geyser e pozze bollenti. Non si può non rimanere incantati di fronte all'arcobaleno di colori creato dalle concrezioni minerali della Champagne Pool, o della "tavolozza del pittore" (una multicolore spianata parzialmente allagata da fumigante acqua sulfurea); la vegetazione lussureggiante, con conifere, mangrovie e le onnipresenti felci, ed il paesaggio aspro, riportano a un mondo primordiale. Procedendo verso sud, ci inoltriamo nell'area del Tongariro National Park: di colpo sembra di trovarsi nei nostri paesaggi montani, soltanto senza neppure un paese o un segno di insediamento umano; ai lati della strada, che si snoda per chilometri in mezzo a boschi e pianure steppose punteggiate talvolta da sterminate greggi di pecore, si notano solo isolate stazioni di servizio e sperdute casette prefabbricate. Si respira ancora un'atmosfera da ultima frontiera (o forse, semplicemente, la nostra mente di cittadini abituati a percorrere la Pianura Padana non riesce a rendersi conto di quanto il nostro paesaggio sia pesantemente antropizzato) e sullo sfondo svettano i tre vulcani Ruapehu, Ngauruhoe e Tongariro, con le cime innevate considerate sacre dai nativi. Ci tratteniamo per il pernottamento in un isolato e lussuoso hotel che a me ha portato immediatamente alla mente l'Overlook di Shining (chi se lo ricorda?), fortunatamente senza spettri né ospiti sinistri. Vediamo per la prima volta i famosi cartelli che invitano a prestare attenzione ai kiwi (gli sfortunati uccelli simbolo sono minacciati da ogni sorta di mammiferi, cani, gatti ed opossum in primis, introdotti nel secolo scorso dall'uomo) ed avvistiamo un altro uccello caratteristico, il Pukeko, che attraversa spavaldamente la strada davanti a noi.
Proseguiamo quindi verso la capitale Wellington, caratterizzata da una posizione scenografica e da una commistione di edifici moderni e vittoriani; il quartiere governativo raccoglie simboli del territorio e delle popolazioni che si sono fuse in Nuova Zelanda, con una sorta di nuova Agorà ed uno splendido museo (il Te Papa, lo "scrigno") con mostre permanenti sulla cultura maori ed una nuova Casa di Riunione. Meritevole è un giro sulla Cable Car: godiamo dall'alto di una splendida vista notturna sulla città e sulla relativa baia, incorniciate dalle felci.




Qui prendiamo il traghetto e lasciamo l'isola del nord. In quella del sud ci aspetta una lunga tappa di attraversamento della pianeggiante regione del Marlborough, dove vengono prodotti i rinomati vini neozelandesi; la coltura della vite è da poco arrivata da queste parti, ma il clima ed il terreno favorevoli consentono di ottenere ottimi merlot, cabernet, sauvignon, pinot e altri. Non ce ne facciamo mai mancare un bicchiere insieme alle gustosissime carni di allevamento locale; meravigliamo i ristoratori locali spiegando che anche in Italia c'è la cultura del vino e se ne producono di ottimi (mia moglie, monferrina DOC, resta di sasso quando scopre che nessuno ha mai sentito parlare di Barbera e Barolo). Anche qui, però, non possiamo dimenticarci di essere dall'altra parte del mondo: i filari sono ordinatamente disposti in pianura, su estensioni sconfinate.. altro che colline toscane e piemontesi! Ed altro che conduzione famigliare della vigna..
La nostra esplorazione prosegue lungo la costa occidentale (la West Land, amichevolmente detta "Wet Land" per le abbondanti piogge - che infatti non ci risparmiano ? che consentono alla foresta pluviale di crescere rigogliosa ed incontaminata). Ci sono alcuni centri minerari, ma l'aspetto più rilevante è ancora una volta quello naturalistico: rocce modellate da antichi movimenti geologici, dal mare e dal vento; piante a noi sconosciute e atmosfere incredibili (spiagge caliginose, sorgenti calde nella foresta e ghiacciai che si spingono fino al Mar di Tasman attraversando sul loro percorso la vegetazione subtropicale). In questa zona è ancora fiorente la lavorazione della giada locale ("Nephrite"), pietra adorata dai Maori e sapientemente ricercata ed incisa.







Arriviamo finalmente in vista delle Southern Alps. Anche in Nuova Zelanda ci sono le Alpi: la dorsale solca tutta l'isola del sud e nella parte centromeridionale si trovano le vette più elevate; verso Occidente le valli glaciali danno origine a fiordi incontaminati, simili a quelli norvegesi; a Oriente si trovano alcune rinomate stazioni sciistiche e splendidi laghi alpini. Anche in questo caso si rimane colpiti dalla scarsa umanizzazione del territorio: le città sono piccole e distanti tra loro, il paragone con i nostri laghi Maggiore, Como e Garda viene spontaneo, ma da noi sarebbe impensabile concepire la costa senza spiaggette, ville ed alberghi. La nostra gita al celeberrimo Milford Sound viene annullata all'ultimo momento per un'improvvisa bufera di neve (che sfortuna!), ma non ci stancheremmo mai di vagare sulle sponde del Lake Wanaka e nel piccolo centro di Queenstown, piacevole cittadina turistica patria del Bungjee Jumping.
Terminiamo il nostro tour con una visita a Dunedin, la Edimburgo dell'emisfero australe (città modello fondata dai coloni scozzesi) ed a Christchurch, che al nostro arrivo era da poco stata colpita dal terremoto (fortunatamente senza gravi danni in città). L'ultima breve escursione alla punta più meridionale dell'isola ci fa esplorare paesaggi che ci ricordano la costa atlantica della Bretagna, e c'è ancora il tempo di incontrare una coppia di anziani ristoratori che da anni fanno il viaggio contrario al nostro (venendo a scoprire la vecchia Europa) e ci cucinano un ottimo fish and chips accompagnato da birra locale. Da Christchurch, che ci affascina per il suo impianto urbanistico a misura d'uomo, ci imbarchiamo per il lungo rientro: Auckland, Hong-Kong, Londra e quindi nuovamente Milano, dopo 17 giorni di splendida vacanza. Abbiamo portato a casa la nostalgia per una terra ancora incontaminata, per una natura splendida e per un paesaggio forte ed indomabile. Abbiamo apprezzato l'artigianato locale (la già citata giada e i prodotti in lana merino e pelo di opossum, soffici e caldissimi), il rispetto per la natura e questa terra davvero amata, l'ospitalità di chi a volte dichiara di sentirsi un po' solo in mezzo al Pacifico.




Qualche curiosità

Il Kiwi è l'ultimo superstite tra gli uccelli preistorici, incapaci di volare. Un simile pennuto, alto fino a 4 metri, abitava la Nuova Zelanda fino all'arrivo dei Maori, che ne causarono l'estinzione distruggendone l'habitat. Simili fossili viventi si erano preservati grazie all'assenza di predatori (pressoché totale mancanza di mammiferi).

I neozelandesi proteggono in tutti i modi il loro ambiente naturale, tenendo lontana ogni potenziale minaccia al fragile ecosistema: i bagagli dei viaggiatori vengono scrupolosamente controllati per evitare che siano introdotti animali, vegetali, semi o anche solo terriccio (attenzione alle suole delle scarpe da trekking ed ai piedini del cavalletto!) provenienti da altri continenti.

Nella mitologia, l'isola del Sud rappresenta la canoa del dio Maui (divinità comune a tutta l'area del Pacifico), quella del Nord il grande pesce da lui pescato e la piccola Stewart Island l'ancora della canoa.

Nelle teorie ottocentesche sull'origine della popolazione Maori (che nei miti di fondazione ricorda di provenire dal mare) qualcuno fece risalire la loro provenienza alla Grecia (!), trovando nei Nostoi e nell'Odissea riferimenti ad un possibile esodo successivo alla guerra di Troia. E' invece ormai assodata l'origine polinesiana.

La Nuova Zelanda è stata la prima democrazia mondiale a concedere il voto alle donne.

Pare che sul suolo neozelandese ci siano 11 pecore per ogni abitante.



Anna e Gabriele Dell'Era sono due medici novaresi. Entrambi hanno la passione per i viaggi, che Anna ama organizzare con lunghe ricerche sul web. Per Gabriele la fotografia è una passione di famiglia: nonno, papà e zio si sono sempre dilettati con la macchina fotografica; appena ricevuta in dono una Haking a focale fissa, anche lui ha cominciato a scattare a più non posso. Le prime soddisfazioni sono arrivate partecipando a concorsi giovanili a tema paesaggistico e di tutela del territorio con immagini su diapositiva 35mm, poi, dopo una lunga "pausa di riflessione", tre anni fa la passione è nuovamente sbocciata con il passaggio al digitale. Attualmente predilige la fotografia di paesaggio ed il ritratto, da poco si dedica anche alla stampa delle sue immagini; è iscritto alla FIAF ed alla Società Fotografica Novarese. E' attratto da tutti i generi fotografici e nutre sincera ammirazione per gli Autori che riescono a fare della fotografia uno strumento di comunicazione.



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