Mora Mora
Mora Mora, testo e foto by
Maurizio Junior Gabbi. Pubblicato il 16 Giugno 2015; 16 risposte, 6364 visite.
Un breve viaggio, ecco cosa voglio raccontare. Una settimana di inizio gennaio a Nosy Be, "grande isola" a nord-ovest del Madagascar, dove ho cercato di coniugare un po' di sano relax con una piccola avventura alla scoperta di persone, culture, e luoghi lontani. Non scomodo certamente i termini "fotogiornalismo", o "reportage", per dirlo alla francese. Vorrei semplicemente parlare di ciò che ho vissuto e pensato durante questo arco di tempo.
Dell'intera settimana ho scelto solamente alcune storie, quelle che più mi hanno colpito e affascinato, quelle che più profondamente mi hanno coinvolto emotivamente. Ho incluso riflessioni, osservazioni e pareri personali nel modo in cui si presentavano, proprio perché vorrei che queste pagine racchiudessero in tutto e per tutto il MIO viaggio. Tutto attraverso i miei occhi. Non sono un fotografo, uno scrittore o un sociologo professionista, pertanto mi si perdonino contenuti dilettantistici, superficiali, eventuali omissioni o inesattezze.
No, non è una scusa... E' il mio racconto! Dunque, chi si prenderà la briga di leggere quanto segue, sappia sin da ora che è tutto frutto della mia passione per la fotografia, per la scrittura, e per l'esplorazione. Bene, ecco com'è andata.
IRAY
Nestor ci aspetta in aeroporto, sorridendo.
«E' da ieri che piove! Ah, speriamo bene, è strano il tempo!»
Gesticola un po' per spiegarsi meglio, ma parla molto bene l'italiano.
Fa la guida turistica ormai da diversi anni, e si dice contento del suo lavoro.
Come molte guide locali, vive a Hell-Ville, la città principale dell'isola, ma in settimana si sposta frequentemente tra aeroporto, villaggi e altri paesi.
Dunque quando riesce a tornare a casa, anche? Oh, scusate! Perdo il filo del discorso: il termometro dice trenta, ma è l'umidità a far sentire le sue mani sul collo dopo le ultime dodici ore di aria condizionata.
Bene, ecco il transfer: carichiamo velocemente le valigie mentre Nestor annuncia almeno un'ora di tragitto per arrivare al villaggio.
«C'è una sola strada qui, ma non arriva alla fine. Poi si va sullo sterrato, ok?»
Nessun problema. Spero solo che la discutibile colazione servita in aereo la pensi allo stesso modo...
Parla brevemente con l'autista, poi decide di lasciarci con lui.
«Devo aspettare della gente. Andate con lui, tutto a posto! Ciao amici, a presto!»
Nella confusione del momento, giro lo sguardo di qua e di là, per cercare di mettere ordine all'immensa quantità di stimoli che invadono i miei sensi.
Non dormo ormai da circa trenta ore, ma ogni sguardo che incrocio mi restituisce un sorriso... Con una buona dose di divertimento per la faccia che mi ritrovo al momento!
Partiamo, e veniamo subito inghiottiti dal verde di Nosy Be. Un verde che così, tutto insieme, non ho mai visto in vita mia: palme del viaggiatore, mangrovie, bambù, banane, jackfruit?.
Sto cercando di far cadere la pupilla su quante più cose riesco negli sballottamenti della strada accidentata, quando l'autista accosta improvvisamente, e senza dire nulla scende. Ci guardiamo un po' perplessi, per non dire preoccupati, quando risale con un sorriso e le mani piene di ylang ylang, di cui ci porge dei petali facendo segno di annusarli. "Nosy Be" significa letteralmente "grande isola", ma è anche nota come "isola dei profumi".
Dopo mezzora dall'atterraggio, non ho certo bisogno di chiedere perché.
Mentre arriviamo al villaggio Nadia, la nostra guida italiana, ci parla un po' della popolazione locale, delle loro tradizioni e della loro cultura.
Ci presenta flora e fauna locale ogni qualvolta si presenti ai finestrini e ci anticipa le uscite solitamente consigliati ai turisti.
Macchina fotografica alla mano, cerco di mettere a freno l'indice destro, che continua a ricevere impulsi incondizionati da un occhio sovra stimolato. Vorrei avere il tempo per girare senza fotocamera: osservare, conoscere, imparare, interagire, vivere? Ma ho una sola settimana, e non mi posso permettere questo lusso.
Dal finestrino, vedo i primi villaggi contadini: sono piccoli agglomerati di case locali, costruite per lo più in legno con qualche pezzo di lamiera qua e là. Mentre gli adulti ci guardano incuriositi, proseguendo nel far pascolare gli zebù, i bambini corrono verso di noi ridendo e salutandoci. «Ciaooooooo!! Ciaoooooo!!»
Non posso fare a meno di rubar loro qualche foto.
Ci viene spiegato che la popolazione malgascia non ha problemi a farsi fotografare, e solamente i più anziani preferiscono che gli venga chiesto il permesso. Comunque preferisco chiederlo gentilmente a tutti.
Bene, dopo circa sei chilometri di sterrato arriviamo al nostro villaggio. Il tempo di sistemare alcune faccende burocratiche e finalmente si cena. Francamente ora ho così sonno che non riuscirei a recepire una parola in più. Meglio dedicarsi al letto e svegliarsi di buon'ora domattina.
ROA
«Mmmh... Buongiorno...» Sono sveglio. Credo.
«Prova a tirare la tenda.»
Diluvia.
Mi alzo per guardare meglio.
E' il mio primo viaggio in un posto simile, ma ora capisco cosa intendevano tutti quando mi parlavano di "pioggia tropicale", o macchina fotografica "tropicalizzata".
Beh, la mia non lo è?
Provo a rimediare con un sacchetto di plastica? Ok, meglio di niente.
Voglio fare un giro fuori dal villaggio per guardarmi intorno. Nulla di organizzato, direi più una passeggiata all'avventura con la mia ragazza.
Dobbiamo aspettare che la pioggia diminuisca, per cui intanto ci informiamo bene sui luoghi raggiungibili a piedi, approfittandone per parlare un po' con i locali che lavorano al villaggio dove ci troviamo.
Prima di partire ho letto diverse esperienze di turisti e viaggiatori da ogni parte del mondo: molti di loro spiegavano la delicata situazione dell'istruzione per i bambini dei villaggi rurali, che nella migliore delle ipotesi devono percorrere chilometri e chilometri a piedi per raggiungere la scuola più vicina. Mi vergogno di aver passato anni a lamentarmi di bus e metropolitana.
Da casa, abbiamo portato un po' di pennarelli e di quaderni, sperando possano essere un aiuto educativo, e perché no, un divertimento.
Arnaud, uno dei camerieri, ci dice di cercare la scuola: «Se vedete bimbi in strada, dategliene solo uno o due... Se no poi non vanno più a scuola.»
Perfetto! Effettivamente a questo non avevamo pensato. Dunque, zaino in spalla e si esce.
Le copiose precipitazioni hanno intriso il terreno, rendendo il sentiero un acquitrino che a mala pena si distingue dalla foresta che ci circonda.
Camminiamo a fatica cercando di evitare le enormi pozze, mentre i pochi passanti che incrociamo ci salutano, in italiano, ridendo per il nostro impaccio. Già, le scarpe da ginnastica non sono state una scelta felice.
Non importa, voglio vivere questo luogo in tutto e per tutto. Anche perché, se avessi voluto evitare le difficoltà del territorio, sarei rimasto comodamente seduto in camera.
Quindi, quando l'acqua si fa troppo alta, via le scarpe.
E' incredibile quanto l'incontro con un luogo così incontaminato e genuino sia in grado di farti sentire in pace con il resto del mondo. Camminando tra le mangrovie, su e giù per questi sentieri, l'unica cosa che sento è il mio respiro, di quando in quando coperto dal cinguettio degli uccelli.
Alzo la testa, con la vegetazione che quasi mi preclude anche la vista del cielo, e il naso si riempie di profumi sconosciuti, misteriosi e affascinanti. Non posso fare a meno di fermarmi per un istante, socchiudere gli occhi, e abbandonarmi alla mia stessa intimità, probabilmente da tempo smarrita nella frenesia cui sono assuefatto.
Mi giro per un istante, e sembra che Joelle abbia avuto i miei stessi pensieri.
A proposito, vi presento Joelle, la mia ragazza. Mi guarda e si mette a ridere: «Hai il fango anche in faccia!»
«Si si certo, molto divertente!»
Sento delle voci provenire da vicino. «Andiamo!»
Arriviamo al piccolo villaggio di cui ci avevano parlato, Amporaha. Pare che siano tutti impegnati a lavorare: gli uomini tagliano la frutta con enormi machete, mentre le donne trasportano pesanti sacchi di rafia e cesti in equilibrio sulla testa. Nonostante siano tutti molto impegnati, nessuno ci nega un cenno di saluto. Per quanto mi sforzi, non riesco a non paragonare inconsciamente ogni piccola situazione alla quotidianità cui sono abituato. Vuoi la cultura, lo stile di vita, vuoi il contesto e la curiosità che destiamo in quanto turisti spaesati, ma la cordialità e il senso di vicinanza e calore che mi trasmettono le persone che incontriamo sono semplicemente meravigliose. Non sto dicendo che vorrei aspettarmi le stesse reazioni in centro Milano all'ora di punta, ma sicuramente tutto questo mi dà molto a cui pensare. Forse mi sto addentrando in pensieri sociologici fuori dalla mia portata, quindi mi limito a? Mi limito a vivere.
Probabilmente, sono riflessioni che riuscirò ad elaborare meglio al termine del viaggio, oppure tra diversi anni, quando avrò accumulato esperienze e conoscenze, interiorizzandone davvero contenuti e ricchezze.
Faccio in tempo a scattare qualche altra foto, quando una goccia sull'obiettivo mi fa alzare lo sguardo: piove ancora.
«Meglio che iniziamo a tornare, non promette niente di buono.»
Torneremo qui nei prossimi giorni.
TELO
Dopo una giornata passata all'insegna del relax - lo ammetto, siamo qui anche per questo! - decidiamo di partecipare ad una "gita da turisti".
L'escursione prevede un giro a sud dell'isola, con prima tappa ad Ambatoloaka per poi spostarsi ad Hell-Ville, città principale di Nosy Be.
«Ciao, sono Gideon! Oggi è previsto bel tempo, vi porto a vedere un po' di cose...
Dai dai, andiamo!»
E' un ragazzo sui trent'anni, sembra davvero estroverso e simpatico.
Usciamo dal villaggio a bordo di un pulmino simile a quello che ci aspettava in aeroporto, e lui inizia subito a parlarci di flora e fauna intorno a noi.
E' molto facile imbattersi in lemuri o camaleonti che saltano di albero in albero, gechi, rane o serpenti. Questi ultimi non sono tuttavia pericolosi per l'uomo, come sottolinea subito.
«Gli unici animali pericolosi qui sono i coccodrilli, ma vivono solamente nei laghi e nelle zone paludose.»
La vegetazione sorge rigogliosa, ed è una delle cose che più mi ha colpito. Dalla terra rossastra nasce la foresta tropicale tipica della zona a nord del Madagascar, dove si trovano dalle enormi latifoglie alle variopinte orchidee, dalle stupende palme ai soffici muschi.
«Ecco, quello è tutto ylang ylang? C'è una distilleria più avanti, ci fanno lo Chanel! Non lo sapevate?»
Sorride ironicamente pensando a quanto paghiamo in Europa per una cosa tanto comune per loro.
Lungo la strada passano infatti diversi contadini: l'autista rallenta e li saluta, scambiando due parole al volo. Li osservo attentamente per cercare di capire cosa stiano trasportando.
«Si, stanno andando alla distilleria!», conferma Gideon.
Ognuno dei sacchi che tengono in spalla, contiene circa 10 chili di ylang ylang.
Ripartiamo in salita, con il motore che ostenta qualche difficoltà in mezzo al fango che invade il sentiero. C'è stata qualche piccola frana a causa delle abbondanti precipitazioni degli ultimi giorni, quindi bisogna fare ancora più attenzione.
Mi sporgo dal finestrino per scattare qualche foto.
«Beh, ma puliranno la strada?»
«Certo, ma non è lo stato o la città a mandare qualcuno. Sono gli abitanti a sistemare. Di solito, chi abita vicino prende la pala e toglie le pietre.»
E ancora, mille pensieri mi passano per la mente. La disparità tra nord e sud del mondo? Quanto abbiamo, quanto siamo fortunati? Ma quanto abbiamo perso?
Il processo di industrializzazione occidentale, l'offerta che supera la domanda spingendo il "bisogno" nel burrone del "fuori moda" per far posto alla lussureggiante e arrogante presenza del "voglio"?
L'apice della post modernità e del capitalismo porta con sé l'annuncio della sua stessa disfatta e l'inconscia invocazione di un ritorno all'arcaico?
Uno scossone mi riporta seduto sul pullman: a quanto pare, una mandria di zebù sta attraversando la strada.
Ho letto molto riguardo l'importanza che rivestono, e voglio saperne di più.
«Sono gli antenati delle vostre mucche, con una gobba di grasso sulla schiena! E' come un simbolo di ricchezza: chi ha tanti zebù è fortunato, e li può vendere. Uno in carne, diciamo, costa l'equivalente di tre o quattrocento euro. E chi non li ha, come quelli che vivono in città, li deve comprare, perché per le celebrazioni serve uno zebù da sacrificare, e...» L'autista lo chiama per chiedergli qualcosa. Siamo Arrivati.
Gideon è già sceso dal pulmino, e mentre parla con una persona appena incontrata ci invita a seguirlo in fretta: gli abitanti del villaggio sono già radunati sotto un grosso capanno in legno poco distante per assistere ad una danza tradizionale delle donne Sakalawa locali. I Sakalawa sono una delle etnie più diffuse: di origine africana, sono per la maggior parte contadini e allevatori devoti a culti di tipo animista.
Seguiamo i sentieri che ancora non sono riusciti a drenare le abbondanti piogge, mentre sempre più bambini ci corrono incontro, giocando tra loro, incuriositi dalla nostra presenza.
«Bonbon, bonbon!»
Sono ovviamente molto golosi di caramelle, ma Gideon ha raccomandato di non dargliele: i dottori sono ben pochi, i dentisti pressoché assenti.
Giungiamo al capanno, dove le donne sono vestite e truccate a festa. Sorridono e accennano un saluto nel vederci, nonostante parlino solamente malgascio misto a qualche parola di francese. Mentre loro attendono in piedi l'inizio della cerimonia, gli uomini e i bambini sono tutti ordinatamente seduti sulle panche in legno sistemate dietro a un lungo tavolo agghindato da un'elegante tovaglia ricamata.
Ci sediamo anche noi, con quella mezza impressione di disturbare intromettendoci nella loro vita quotidiana, ma in realtà si dimostrano molto felici di avere ospiti con cui condividere la propria cultura e le proprie tradizioni.
Un ragazzo, con l'aiuto di Gideon, ci spiega a grandi linee lo spettacolo che sta per essere messo in atto. Si tratta di canti e balli malgasci tipici della regione a sud di Nosy Be. La lingua malgascia ha moltissimi dialetti e sfumature, che spesso variano di villaggio in villaggio, tanto che non sono rare le incomprensioni tra persone che vivono anche a pochi chilometri di distanza. In questa regione geografica, il malgascio si mischia molto spesso con il francese, dunque anche i canti locali risentono di questa particolarità.
Un'altra usanza è rappresentata dai trucchi utilizzati dalle donne, ma anche dagli uomini, che variano a seconda dell'occorrenza: i dipinti sui volti che possiamo ammirare oggi, ci spiega, sono tipici dei Sakalawa nei giorni di festa. Quella a cui stiamo per assistere, in realtà, sarà una rappresentazione "per turisti", esclusivamente per noi.
Solitamente è infatti proibito partecipare a celebrazioni locali senza l'invito di un membro della comunità. Se devo confessarvi la verità, questo mi fa sentire nuovamente un turista
invadente, un intruso. Compreso il mio stato d'animo, Gideon mi rassicura subito: «Nooo, perché? Siamo tutti insieme e ci divertiamo!»
E' davvero un ragazzo sensibile e solare. Per quello che ho potuto vedere sino ad ora, mi sembra lo specchio di una popolazione molto tranquilla ed ospitale.
"Mora mora". Letteralmente, "piano piano". Questa è la loro filosofia.
Una sorta di vivi e lascia vivere, accostabile alla più celebre locuzione "hakuna matata" swahili, lingua qui non più insegnata e caduta in disuso, ormai custodita solamente dai più anziani.
Guardando le donne e le ragazze che si mettono in posizione per dare il via alle danze, non posso che trovare quell'atmosfera nei colori dei loro vestiti, leggerla nelle espressioni dei loro visi, sentirla nel caldo vento che mi accarezza la pelle e gustarla nel profumo delle spezie sistemate poco dietro di noi.
Allo stesso modo, viene naturale percepire la grande intesa ed il senso di complicità tra di loro mentre la donna più anziana detta il tempo e decreta l'inizio dello spettacolo.
E' un vortice di colori, suoni, voci, profumi, luci ed espressioni.
Avvincente ed intrigante, seducente ed acquietante.
Mi lascio rapire. Sindrome di Stoccolma. In Africa.
Di quando in quando, poso la macchina fotografica per esperire quei fugaci momenti con tutti e cinque i sensi. Cerco di non lasciarmi distrarre dal vano tentativo di centellinare gli irripetibili attimi che sto vivendo per coglierne l'essenza, limitandomi a viverli. Senza pensare ad altro. Perché solo una mente sgombra ed aperta può godere dell'intimità del presente. Nessun passato e nessun futuro: sono solo convenzioni umane. Mai come ora faccio mio questo pensiero.
In una manciata di minuti, la melodia svanisce. Il turbinio si placa, e l'atmosfera che veleggiava rimane sospesa nella leggera brezza africana, nel silenzio degli sguardi, sino a posarsi elegante sulla stessa carne viva che l'ha data alla luce.
Un composto e quasi silenzioso applauso cresce allora spontaneo, tra i compiaciuti sorrisi delle donne Sakalawa che tornano alla loro postazione iniziale.
Nel mentre, alcune ragazze escono da una piccola porta accanto al capanno per offrirci tazze di tè e un piccolo dolce locale di pasta fritta.
Assaporo la bevanda ancora bollente incrociando le espressioni incantate dei miei compagni di avventura, quando una ritmica percussione di legno rompe il brusio di voci che era nato. C'è tempo per una danza finale. Poso la fotocamera, e le delicate voci tornano a permeare la frizzante aria pomeridiana.
Bevo, e l'aroma di vaniglia che scende dalla bocca si sposa con la musica tribale esaltando il pastiche sensoriale che mi avvolge. Un battito di ciglia o poco più, e cala il sipario. L'applauso riprende, questa volta con maggior vigore, ad accompagnare le donne che vanno a sedersi attorno al tavolo.
«Fin!»
Ci alziamo ancora incantati, salutando e ringraziando tutti per lo spettacolo e per l?ospitalità offerti, e usciamo dal capannone, dove ci attendono i bambini che abbiamo incontrato appena arrivati e altri abitanti di Ambatoloaka.
«Dai, prendo i pennarelli!»
Joelle ne tira fuori dalla borsa due confezioni e va verso di loro.
Alcuni si avvicinano subito; altri, i più piccini, sono invece più timidi e perplessi.
Probabilmente non hanno mai visto questi oggetti a noi tanto comuni, e seppur incuriositi dai vivaci colori, ostentano insicurezza alla vista di sconosciuti.
Le madri li incoraggiano con il sorriso e con piccole spinte, e i più grandi fanno da apripista.
Si avvicinano allora tutti, e mentre Joelle distribuisce loro i pennarelli, i loro volti si dipingono di stupore e gioia.
Uno sguardo in particolare, mi colpisce.
Click.
Questi occhi raccontano una storia, un vissuto, emozioni che le parole non potranno descrivere.
Per questo, ci provo con le immagini.
Da grande appassionato, credo che lo straordinario fascino della fotografia risieda nella sua intrinseca capacità di congelare fugaci attimi di esistenza per renderli estemporanei e regalarli all'occhio che di volta in volta li riporterà in vita in cangianti interpretazioni.
Da grande appassionato, trovo altresì che la macchina fotografica, a differenza del nostro occhio, sia un mezzo imperfetto. Per quanti stati d'animo potrà suscitare un'immagine, essa rimarrà una copia della realtà, un mero tentativo di rimediare un'emozione di cui solo i sensi umani sanno cogliere l'essenza per sublimarla indissolubilmente nell'intimità del ricordo.
I miei pensieri divagano e i minuti volano.
«Purtroppo abbiamo poco tempo, dobbiamo andare in città e rientrare prima del tramonto.»
EFATRA
Il pulmino di prima ci attende poco distanti, con il motore già acceso. Da Ambatoloaka ad Hell-Ville è un breve trasferimento, circa quindici minuti, e avremo solamente un paio d'ore prima del rientro: appena sufficienti per un giro al mercato cittadino e per una passeggiata.
Riprendendo la strada asfaltata, dopo un tratto di sterrato in mezzo agli alberi, ecco che inizio a scorgere le prime tracce di città.
Passiamo dal porto, dove arrugginiti pescherecci e piccole piroghe testimoniano le attività commerciali prevalenti. I passanti per le strade si moltiplicano, ed entriamo subito nel cuore di Hell-Ville: venditori di frutta, spezie e tessuti, donne con bambini, anziani che giocano a dama, ragazzini che tornano da scuola.
Il tessuto sociale si materializza nello sfavillante andirivieni pomeridiano, che sembra così lontano dalla realtà dei piccoli villaggi contadini che abbiamo già conosciuto.
«Siamo arrivati, se volete comprare qualcosa chiedete prima a me!»
«Facciamo prima un giro di tutto il mercato per vedere cosa c'è, ok?»
Il pomeriggio inoltrato porta con se una gran folla.
Al nostro passaggio, i commercianti iniziano ad offrirci i loro prodotti più buoni: mango, litchi, jackfruit, cocco, zafferano, pepe, paprika, cannella, vaniglia? Un elenco infinito, un crogiolo di profumi e colori decisamente insistenti e travolgenti.
Talvolta tali persino da risultare sgradevoli.
Spostarsi dalla zona della frutta a quelle di pesce e carne, non è infatti così piacevole all'olfatto: decine e decine di chili di pesce fresco e carne appena macellata vengono stipati sui banconi, non distanti da spezie e altri generi alimentari, rimanendo alla mercé di mosche e insetti di vario tipo.
Il reparto di vestiti e suppellettili è invece il meno frequentato: per quanto sia importante la produzione tessile per il Madagascar, qui gli abitanti della città vengono per lo più a rifornirsi di generi alimentari.
Mentre i più anziani siedono dietro ai lunghi tavoli controllando la situazione, uomini e donne accordano a gran voce prezzi e quantità dei prodotti, mentre i bambini corrono da una parte all'altra giocando con gli amici incontrati.
Molti di loro ci seguono da lontano, sorridendo imbarazzati appena ci voltiamo a guardarli.
«Dai, prendi gli altri pennarelli!»
Joelle adora i bambini, e tira fuori subito una confezione dalla borsa.
«Uuuh, che figo, io non li avevo così!!»
Scoppiamo a ridere, Gideon è davvero simpaticissimo. «Però loro sono ancora piccoli, andiamo a cercare quelli più grandi che vanno già a scuola?»
Lo seguiamo, e subito troviamo un bimbo che gioca da solo, poco distante dalla madre, seduta al suo banco di frutta in attesa di clienti. Ci rivolgiamo subito a lei, che con nasconde certo il suo entusiasmo e chiama il figlio, tirandolo per la canotta, per poi spingerlo verso di noi.
Anche Gideon lo incoraggia, parlando in malgascio.
Apre allora timidamente la manina e osserva con attenzione: i pennarelli, noi, la mamma? I pennarelli, noi, la mamma? E ancora.
Lei gli parla dolcemente all'orecchio, ed ecco che la perplessità viene coperta, anche se non del tutto cancellata, dalla luce di un piccolo ma contagioso sorriso.
Pochi gesti, sguardi, e parole che non ho compreso.
Come i tratti di pennello di un quadro impressionista, tanto è bastato per disegnare nei miei occhi e nella mia mente un'immediata immagine del loro rapporto. La figura materna, forte e benevola, che guida la spontaneità e la purezza che solo in un bambino possono vivere in modo così limpido.
Su questa immediata impressione, costruisco quasi inconsciamente una piccola storia, dove immagino la loro vita quotidiana al di fuori di quello specifico momento.
Mi pongo domande, cui non cerco risposta per mantenerle sospese nel fascino che le avvolge. Dove si svegliano al mattino? Cosa gli piace mangiare? Chissà se lui ha fratelli o sorelle, e cosa fanno insieme? Le cose più banali, i gesti più semplici?
Li lasciamo alla loro intimità. Ci salutano.
«Merci garçons!!»
Gideon si sposta verso un nostro compagno di viaggio per aiutarlo a comprare quei bacelli di vaniglia tanto profumati.
«Beh, compriamo qualcosa anche noi? Qualcosa da mangiare!»
Sono una buona forchetta (molto buona) e adoro provare sempre cose nuove e caratteristiche del luogo in cui mi trovo. Mangiare assieme a persone di altri paesi o culture molto distanti ha per me un fascino magnetico: trovo consenta di generare legami, moltiplicare emozioni e aprire la mente più di ogni altra cosa. Ci avviciniamo ad un tavolo su cui sono accatastate le spezie più diverse. Il commerciante è un signore piuttosto robusto, che indossa una vecchia maglietta da calcio del Barcellona. Si avvicina subito, e ci mostra i suoi prodotti spiegando, in francese, di cosa si tratta. La maggior parte di essi risultano a me del tutto nuovi, ed è proprio ciò che mi attrae maggiormente.
Optiamo per due confezioni di spezie miste. Voglio provare un po' di tutto, no?
«10.000 Ariary!» Corrispondono a poco più di 3 €.
Prende i soldi. Poi si china, e tira fuori un pacchetto di zafferano, che ci porge in mano.
«Un cadeau!»
Guardo Joelle, pensando di aver capito male.
Ho capito benissimo. Rimango senza parole, quasi imbarazzato.
«Merci, merci beaucoup!!»
Ride. «Misaotra anao!»
«Excuse-moi?»
«Misaotra anao, moyens merci, mes amis!»
«Misaotra anao!!»
Ci troviamo con gli altri poco fuori dal capannone, mentre Gideon cerca di radunare i pochi che mancano all'appello.
Si è fatto tardi, è rimasto il tempo di una passeggiata nella via principale, giusto per raggiungere il pulmino.
La strada è piena di ragazzi che tornano da scuola.
Avvicino le spezie appena comprate al naso, quando inizia a piovere nuovamente.
Nel giro di pochi secondi, il grigio del cielo scatena tutta la sua forza, mentre metto tutto nello zaino e cerco riparo sotto alla tenda di un piccolo negozio.
In realtà, come immaginavo, siamo i soli a preoccuparci dei vestiti bagnati: gli abitanti proseguono nelle loro attività come se nulla fosse, chi aprendo un vecchio ombrello e chi cercando il refrigerio della pioggia con lo sguardo al cielo.
Ecco l'autista! Saliamo a bordo in fretta, ma lui scende con un balzo e apre il cofano.
Ci guardiamo dubbiosi. Sale di nuovo provando a riavviare il motore, invano.
Dopo diversi tentativi, scuote la testa. Dobbiamo attendere un altro mezzo, per cui scendiamo e torniamo a ripararci sotto una tettoia.
Gideon ci raggiunge: «Ragazzi, aspettiamo una mezzora. Per fortuna siamo in città!»
Poco male, un'altra occasione per cercare qualche scatto sotto la pioggia.
Tiro fuori nuovamente la fotocamera, e la tengo leggermente nascosta mentre osservo i passanti: molti uomini e donne, di origine diversa, ci passano davanti. Malgasci, francesi, arabi e indiani. Tre giovani ragazze in particolare, probabilmente di ritorno da scuola, attirano subito la mia attenzione. Decido di uscire allo scoperto e di farmi vedere con la fotocamera in mano. Così, per avere la loro reazione spontanea.
Cosa vuol dire "mora mora"? Loro, sono "mora mora"...
Salutano divertite e svoltano in un vicolo poco distante, tornando a chiacchierare e ridere tra loro, come tutte le ragazze del mondo.
Dopo venti minuti abbondanti la pioggia si placa, e quasi contemporaneamente il pulmino arriva e si ferma davanti a noi.
Saliamo a bordo, un po' inzuppati.
Mi siedo e riguardo subito l'ultimo scatto: chissà di cosa stanno parlando ora.. dove stavano andando, a cosa pensavano mentre mi hanno visto...
Forse non è carino, ma ringrazio per quei minuti extra di permanenza dovuti al guasto!
Partiamo.
La pioggia è diminuita sensibilmente, e la luce sta scappando in fretta.
Il rumore del motore che tira in salita è sporadicamente accompagnato da poche parole, che rimangono brusio di fondo per diversi chilometri.
Gideon rompe l'assopito silenzio: «Allora, vi è piaciuto il giro?»
Iniziamo a parlare di ciò che abbiamo visto, anzi vissuto, nell'arco di questa breve ma intensa giornata, e una scossa di entusiasmo torna ad attraversare la fresca aria della sera, seguendoci per il tragitto che ci separa dal villaggio.
Giungiamo così a destinazione. La stanchezza è ancora sopraffatta dall'eccitazione e dal trasporto per quelle ultime ore così ricche e pregnanti.
Mora mora. L'immagine di quelle tre ragazze sotto la pioggia, persisterà nei miei occhi sino al mattino, e nella mia memoria per lungo, lunghissimo tempo.
DIMY
«Ancora una banana?? Ma sarà la quinta!»
«Beh, in Italia mica le trovi così! Faccio la scorta...»
Sto mangiando tantissima frutta. E' di una dolcezza incredibile, si parla di sapori ben lontani da quelli a cui ci siamo abituati, così sterili e finti.
Qui la filiera consiste sostanzialmente nella distanza che ti separa dal ramo su cui cresce il frutto e dal machete che userai per tagliarlo.
«E poi oggi usciamo a fare un giro, mi servono zuccheri!»
E' solo una scusa, è vero, ma questo pomeriggio voglio tornare ad Amporaha, dato che il tempo sembra finalmente reggere.
Mi fermo a chiacchierare un po' con Arnaud e Marie, una sua collega. Entrambi vivono ad Hell-Ville, sono sposati e con figli. Mi chiedono se anch'io sono sposato, e rimangono a bocca aperta quando rispondo di no.
«Eh? Alla tua età?? Da noi è tardi!»
Spiego loro che in Italia solitamente è un po' diverso, senza inoltrarmi in troppi dettagli.
Gli racconto allora cosa faccio nella vita, i miei progetti e le mie passioni.
Se mi sento estasiato nello scoprire una cultura nuova, anche loro restano affascinati e ascoltano attentamente le mie piccole storie. Sono molto curiosi ed interessati, soprattutto vogliono conoscere le cose più semplici della vita quotidiana: cosa si mangia, cosa si fa nei giorni di festa, quanta gente si trova in strada per andare a lavorare...
Dopo quasi venti minuti che parliamo, mi devono salutare per tornare a lavorare. Arrivata anche Joelle, decidiamo di lasciare loro un paio di confezioni di pennarelli per i loro bimbi. Ce ne rimangono abbastanza anche per il villaggio di Amporaha.
Bene, incamminiamoci!
Ormai abbiamo fatto l'abitudine ai sentieri inondati dalle precipitazioni, e riusciamo già a muoverci con meno impaccio rispetto a pochi giorni fa.
Le nuvole persistono anche oggi, ma per quello che riesco a intravedere tra la folta vegetazione che ci sovrasta, la pioggia sembra per ora scongiurata.
Arriviamo al villaggio e veniamo subito accolti da una ragazza, che parlando francese misto a qualche parola in italiano ci chiede il motivo della nostra visita. Le spiego che vorremmo fare un giro, e se possibile visitare la scuola: Gideon mi aveva accennato di una signora francese, ormai trasferitasi qui, che insegna ai bambini locali.
La ragazza si allontana facendo gesto di aspettare, e torna poco dopo con un suo amico, un ragazzo che deve avere pressappoco trent'anni.
«Ciao, io mi chiamo Giulio!»
Parla in italiano, e anche piuttosto bene.
«Allora vi porto io! Poi vi faccio vedere tutta la zona qui intorno.»
Per quanto sembri timido, è anche molto disponibile, e inizia a parlarci di Amporaha.
«Siamo fortunati perché c'è questa signora che insegna. In altri villaggi i bambini devono fare anche cinque chilometri per andare a scuola? Quando crescono non vanno più, preferiscono lavorare come contadini o pescatori.»
Oggi non c'è lezione, ma incontriamo qualche bimbo che gioca fuori da scuola e la maestra poco distante da loro.
«Bonjour! Italien? Je vous montre l'école!»
Si tratta di una struttura per lo più in legno e lamiera, all'interno del quale si trova un
ampio spazio comune con tavoli e piccole librerie con i materiali di insegnamento adatti alle diverse età.
Ci mostra i disegni degli alunni più piccoli, i testi scritti dai più grandi e qualche libro in lingua francese.
Purtroppo ha poco tempo da dedicarci, perciò le lasciamo due confezioni di pennarelli e i quaderni che ci sono rimasti mentre ci ringrazia per l'aiuto.
Ci muoviamo così lungo il sentiero che conduce alla spiaggia: qui le precipitazioni sembrano aver colpito drasticamente i campi.
Giulio sale su un cumulo di rocce per guardare oltre i rami che ostruiscono la visuale.
«Che disastro?»
Scuote la testa con espressione sconsolata alla vista dei contadini che lavorano duramente per cercare di salvare una piccola porzione della coltura.
Qualcuno spala il fango, altri buttano le parti ormai irrecuperabili del raccolto.
Purtroppo le ultime due settimane hanno messo in ginocchio le coltivazioni a causa di un questo ciclone proveniente dalle coste del Mozambico, vanificando gran parte del lavoro con cui il villaggio si sarebbe preparato ad affrontare l'imminente stagione delle piogge.
Gli abitanti che incrociamo confermano però la grande positività della loro cultura, sorridendo e scherzando con Giulio, che coglie l'occasione per scambiare due chiacchiere con i suoi amici. Salutiamo anche noi con le poche parole in lingua malgascia che abbiamo imparato.
«Salama!» «Manahoana!»
Mentre camminiamo, non perdiamo occasione di parlare un po' con Giulio per conoscerlo un pochino meglio.
«Io sono Sakalawa? Anche la mia mamma è Sakalawa, e il mio papà è Musulmano. Sono nato e cresciuto qui, si sta bene? C'è tutto, abbiamo gli animali e le barche per pescare. Per queste cose è meglio vivere qui che in città, anche se loro hanno altro? Magari case più belle. Però qui mi piace!»
Anche lui ci fa diverse domande su come si vive in Italia, cosa facciamo nella vita e come mai siamo li. Vede diversi turisti, specialmente quando si sposta verso Hell-Ville, ma ci parla molto raramente.
«Fa caldo da voi?»
«Siamo a gennaio, e da noi è inverno? Ci sono più o meno zero gradi!»
Mi guarda spalancando gli occhi: «Eeeeeehhh?!?»
Ridiamo tutti e tre. In Madagascar queste temperature si raggiungono solamente sulle montagne, nelle notti del periodo invernale.
«Ma avete visto la casa sull'albero? E' di una signora francese, abita qui?»
A dire il vero, non ne abbiamo ancora sentito parlare.
Oltrepassiamo dei cespugli a lato del sentiero, e vediamo una signora poco distante intenta a sistemare delle piante. Giulio la chiama.
«Bonjour!! Ah, italiani? Ciao ragazzi, sono Ivonne! Siete stati coraggiosi ad arrivare fino a qui in queste condizioni!»
«Ciao Ivonne! Giulio ci ha portati qui parlando di una casa sull'albero?»
«Si è mia, l'abbiamo costruita li, è stupenda! Ah, purtroppo la sto sistemando per colpa del ciclone? Ma tornate domani che ve la faccio vedere, ok?»
Ne saremmo ben felici, ma domani ci aspettano dodici ore di aereo.
Proseguiamo a parlare.
«Vivo qui da tanti anni ormai, e sto benissimo. Il clima, le persone, la tranquillità?»
«Quindi immagino che non torneresti a vivere in Francia?»
«Ah no, io non sono francese: mia madre è malgascia, mio padre scozzese. Un misto insomma! Lui è venuto qui e si sono conosciuti, così si è trasferito e sono nata io. Quando ero giovane ho vissuto in Francia e anche in Italia, vicino a Milano. Poi sono tornata qui e non mi sono voluta più spostare.»
Noi viviamo in provincia di Milano, e scopriamo di avere molti posti in comune dove anche lei ha vissuto e lavorato.
Odio le frasi fatte, ma quant'è piccolo il mondo!
Ora vive stabilmente a Nosy Be da circa vent'anni: oltre alla sua casa, ha costruito un piccolo villaggio, composto da abitazioni in cemento molto eleganti e curate, dove affitta stanze a viaggiatori di passaggio che si avventurano in questa zona senza alcuna prenotazione.
Parliamo per un'altra decina di minuti, poi deve tornare a lavorare.
«Scusate ma ora vado a togliere il fango che è rimasto! Se tornerete qui un giorno, passate a trovarmi!»
«Ciao Ivonne, grazie!»
Riprendiamo il cammino e ci spostiamo verso la spiaggia, dove un piccolo gruppo di bambini sta giocando tra i tronchi delle palme.
Esatto, abbiamo pennarelli anche per loro! Gli ultimi, ma ci sono.
Giulio li chiama a raccolta, ed ecco che arrivano di corsa, seguiti da due cagnolini.
Nell'entusiasmo generale, si avvicinano uno ad uno e prendono i pennarelli che Joelle porge loro, scegliendo i colori che preferiscono.
Le due bambine più grandi avranno dodici anni circa: prendono in braccio le più piccine e le portano verso di noi per far prendere i pennarelli anche a loro.
Faccio qualche foto mentre tutti ridono e scherzano, continuando imperterriti a giocare nella meravigliosa spensieratezza che li anima.
Nel vedermi con la fotocamera, una delle due più grandi si avvicina incuriosita.
Le sorrido. «Une photo?»
Si ferma davanti a me e porta le mani al viso, con espressione stupita e al contempo gioiosa.
Scatto la foto e le mostro subito lo schermo, impaziente di vedere la sua reazione.
Alla vista del ritratto, i suoi occhi si accendono come fari, mentre una sua amica le arriva accanto di corsa: entrambe scoppiano in una fragorosa risata!
E' uno spettacolo che mi prende al cuore, vorrei poter stampare subito la foto per loro e far lo stesso con gli altri, ma purtroppo non posso. Penso subito che per il prossimo viaggio, sarebbe molto carino attrezzarmi con una fotocamera a stampa immediata!
Guardo l'ora, e purtroppo si è già fatto tardi: voglio iniziare a incamminarmi per non rischiare di trovarmi in un sentiero in mezzo agli alberi senza luce. Salutiamo allora tutti i bambini e attendiamo la guida di Giulio.
Eccolo che arriva: «Giocano sempre, sono bellissimi!»
Sembra come un fratello più grande per tutti loro, e il modo in cui tutti lo salutano e cercano di trattenerlo tirandolo per le mani, conferma il mio pensiero.
«Già, sono meravigliosi?»
Prima di andare, chiedo a Giulio se posso fargli un paio di foto.
«A me?? Oh certo!!»
Nel frattempo si sono fermati qui anche altri abitanti del villaggio, e lui inizia a scherzare con le ragazze facendo pose da modello davanti alla macchina fotografica.
«Ciao ragazzi, è stato bello parlare con voi!»
Le nuvole coprono ancora un sole che sta per concludere anche oggi il suo viaggio, e noi siamo quasi a destinazione. Un buon tempismo, direi.
Ancora ridiamo pensando alle pose di Giulio.
«Più tardi ci riguardiamo le foto di oggi! Mi sa che ce n'è qualcuna carina!»
Giriamo l'angolo, e arrivati fuori dalla nostra stanza, ecco una sorpresa tanto piacevole quanto inaspettata: un vasetto di peperoncino, chiaramente preparato in casa, appoggiato sul tavolino.
Oddio? Questo l'ha sicuramente portato Arnaud.
Ieri, parlando, gli avevo detto che mi piaceva? Sono davvero commosso.
Io e Joelle ci guardiamo senza dire una parola. Sarebbe superfluo e quasi fuori luogo aggiungere qualcosa che i nostri occhi non abbiano già detto.
ENINA
Stipati da quasi due ore al gate dell'aeroporto a causa di un ritardo, tiro fuori la fotocamera e rivivo mentalmente questi ultimi giorni: i posti che ho visto, gli sguardi che ho conosciuto, le parole che ancora sento echeggiare dentro me.
Nestor che ci accoglie, Nadia che ci parla di piante e animali. La pioggia tropicale, gli zebù, Gideon che ci parla della cultura malgascia. Le danze e i canti delle donne Sakalawa, il mercato, le emozioni e le espressioni dei bambini. Ancora, le tre ragazzine spensierate sotto la pioggia, Giulio che gioca a fare il modello, Ivonne, Arnaud e il peperoncino.
Un piccolo film nella sequenza di immagini che scorro velocemente con il pollice.
Di tanto in tanto metto in pausa e torno indietro, soffermandomi sui momenti che più intensamente mi hanno coinvolto.
Soffio sulla fiamma di quelle emozioni per mantenerla accesa in me, per paura che si affievolisca o che si spenga prematuramente. Ma la cera che sta sciogliendo è destinata a solidificare, mantenendosi traccia di ciò che è stato.
Lasciando la mente libera di saltare da un pensiero all'altro, scaccio quindi il timore che un allontanamento fisico possa simboleggiare un graduale sbiadimento del mio vissuto.
E' così, siamo esseri umani: facciamo di tutto per testimoniare il tempo che viviamo.
Io amo farlo attraverso le fotografie. E perché no, qualche parola.
Come ho già detto, forse parafrasando Hermann Hesse in Siddharta, tali testimonianze non possono rivivere ugualmente in chi ne beneficia senza averle esperite in prima persona.
Che dire, in questo caso sono stato protagonista di attimi indimenticabili che ho provato a cogliere con un click, ma la cui più vera e profonda ricchezza rimarrà intatta solamente nelle labirintiche cripte della mia memoria.
Sarebbe meraviglioso se anche solo una minima parte di tutto questo rimanga racchiusa in questi miei pensieri. Magari, contagerà qualcuno.
Per quanto mi riguarda, la speranza è che questa simbolica fiamma possa avere in futuro la compagnia di altre vampe, altre esperienze straordinarie che attendono di essere assaporate, persone che attendono di essere incontrate e luoghi che attendono di essere raggiunti.
Misaotra anao, Nosy Be.
Maurizio Gabbi scrive di sè: "Mi chiamo Maurizio, ho 25 anni e sono (finalmente) laureando in marketing. Ho due grandi passioni, la fotografia e i motori, entrambe ereditate da mio padre. Iniziai a fare i primi scatti con una Minox 35GT: poter congelare quel meraviglioso tramonto in Sardegna mi elettrizzò. Da grande appassionato, credo che lo straordinario fascino della fotografia risieda nella sua intrinseca capacità di congelare fugaci attimi di esistenza per renderli estemporanei e regalarli all'occhio che di volta in volta li riporterà in vita in cangianti interpretazioni.
Da grande appassionato, trovo altresì che la macchina fotografica, a differenza del nostro occhio, sia un mezzo imperfetto. Per quanti stati d'animo potrà suscitare un'immagine, essa rimarrà una copia della realtà, un mero tentativo di rimediare un'emozione di cui solo i sensi umani sanno cogliere l'essenza per sublimarla indissolubilmente nell'intimità del ricordo. Risposte e commenti
Che cosa ne pensi di questo articolo?
Vuoi dire la tua, fare domande all'autore o semplicemente fare i complimenti per un articolo che ti ha colpito particolarmente? Per partecipare iscriviti a JuzaPhoto, è semplice e gratuito!
Non solo: iscrivendoti potrai creare una tua pagina personale, pubblicare foto, ricevere commenti, partecipare alle discussioni e sfruttare tutte le funzionalità di JuzaPhoto. Con oltre 248000 iscritti, c'è spazio per tutti, dal principiante al professionista.
| inviato il 16 Giugno 2015 ore 17:32
WOW! Bella immagini, particolare quella sotto la pioggia, c'è felicità in questi volti, bel racconto. |
| inviato il 16 Giugno 2015 ore 17:40
Grazie per questo racconto, interessante! PS: Concordo con Bilo101, la foto in bn sotto la pioggia è veramente bella! |
| inviato il 16 Giugno 2015 ore 17:52
Billo, Ale, grazie mille!! Felice che vi sia piaciuto! Effettivamente sono molto affezionato alla foto delle tre ragazze sotto la pioggia, mi fa molto piacere che l'abbiate apprezzata! P.s.: scusate per i "punti di domanda extra", dovevano essere dei puntini di sospensione ma pare ci sia un errore nella visualizzazione. Non ci avevo fatto caso, errore mio! Ciao! Maurizio |
| inviato il 16 Giugno 2015 ore 19:02
Solo a Leggere il titolo ho sentito un brivido lungo la schiena. Ci sono stato e ciò lasciato un pezzo di cuore. Grazie di avermi ravvivato un po di bei ricordi. Ciao Fabio |
| inviato il 16 Giugno 2015 ore 19:32
Bell'articolo e belle immagini, complimenti |
| inviato il 16 Giugno 2015 ore 20:30
Bel racconto particolareggiato e immagini splendide! Complimenti sinceri. Arvina |
| inviato il 16 Giugno 2015 ore 21:25
Fabio ti ringrazio molto, sono contento di condividere questa bellissima esperienza e di averti fatto tornare alla mente questi ricordi! Ho lasciato un pezzo di cuore anch'io! Grazie mille Misterg, sono contento che ti sia piaciuto! Arvina, grazie mille anche a te, gentilissima!!! Un saluto a tutti e buona serata!! Maurizio |
| inviato il 17 Giugno 2015 ore 7:44
Tutto molto bello, descritto in modo intelligente, come racconto e come dialettica, nel rispetto delle persone. |
| inviato il 17 Giugno 2015 ore 8:31
Un racconto splendido con foto ancora più belle!! Complimenti, nulla da invidiare ad altri reportage. Posso dirti che probabilmente sei riuscito a farlo diventare anche il NOSTRO viaggio |
| inviato il 17 Giugno 2015 ore 12:00
Giuseppe, ti ringrazio molto, sono felice di esser riuscito a trasmettere il rispetto attraverso questo breve racconto! Alvise, grazie mille! Sono davvero contento di averti "fatto vivere" questa esperienza in modo coinvolgente, gentilissimo!! Grazie a tutti! Un saluto e buona giornata, Maurizio |
| inviato il 16 Settembre 2015 ore 21:01
Belle immagini, bel documento, bel lavoro, ottimo racconto, grazie e buona serata. |
| inviato il 17 Settembre 2015 ore 10:22
Errevi, sono felice che ti sia piaciuto! Era il mio primo "lavoro" di questo genere e sicuramente ho tantissimo da imparare... Ti ringrazio molto per l'apprezzamento! Ciao, buona giornata! |
| inviato il 13 Aprile 2016 ore 12:17
Bel racconto, bella gente e belle foto. Esperienza che apre la mente ed il cuore. Molto bella la foto in bianco e nero : unica osservazione del tutto personale, l'avrei tagliata diversamente. Bravo comunque e buona prossima avventura. |